lunedì 25 febbraio 2013

La neve nel bicchiere


Le casette stupefatte sono bianche come il latte.
Tutto è bianco monte e valle…
è un diluvio di farfalle.
Lungo i tetti,
sopra i rami
che merletti, che ricami!
Che stupore per gli uccelli!
Che cappucci per gli ombrelli!


In Emilia nevica da tre giorni. 
Torno da Roma e trovo tutto bianco. Bianco e silenzioso. 
D’improvviso, mi sembra di aver viaggiato a ritroso negli anni. Mi risuonano nella mente le filastrocche che Mina, la maestra, ci insegnava a scuola. Rivedo i nonni, che escono e rientrano con i bicchieri straripanti di soffici nuvole bianche: due dita di Fortanella ed è pronta la delizia estemporanea che, per un istante, fa sentire il povero un re.

La Fortanella non è un vino. Qui la chiamano vino perché si fa con l’uva, è rossa, frizzante ed ha quei pochi grammi d’alcol che bastano per tirarti un po’ su. Ma cinque gradi non sono nulla per un bevitore serio e i produttori fedeli alla tradizione scrivono in etichetta “mosto d’uva parzialmente fermentato”. Una volta, ovviamente, nei negozi non la trovavi. Dovevi conoscere un contadino della Bassa. E sperare che l’annata fosse quella buona, perché un vinello così leggero è ipersensibile alle bizze del tempo. Ma, quando tutto andava per il meglio, ti trovavi nel bicchiere quel gioiellino di bibita padana, dolce e acida quanto basta per rinfrescarti le estati e pulirti il palato dal passaggio dei nostri salumi ricchi e delicati, che un vino vero ucciderebbe senza pietà. Sconosciuta a chi non ha vissuto le nebbie dense e i pomeriggi d’afa equatoriale delle terre golenali, la Fortanella nasce da una vite antica, che si è fatta un baffo della filossera, perché cresce nella sabbia. Per cui, ancora oggi la coltiviamo sul suo “piede franco”, il ceppo radicale originario, senza doverla innestare sui ceppi barbari d’oltreoceano. Forse è per questo che le siamo rimasti così affezionati…

La stessa vite la coltivano nel ferrarese, dove si produce la più celebre Fortana del Bosco Eliceo che, con i suoi 12 e passa gradi alcolici, è tutt’un’altra storia.
Quella, la trovi sui libri seri e i trattati. Della Fortanella scrive, di sfuggita, solo Giovannino Guareschi (che la coltivava nella campagna di San Secondo). Lo fa in un racconto, uscito su un numero di Candido del ’56 e ripubblicato postumo in Ciao, don Camillo:

Gli uomini di poche parole si comportano, spesso, come le bottiglie di Fortanella. Se le lasciate tranquille nel loro angoletto, con il sedere nella sabbia fresca, si presentano per quello che sono: umili bottiglie di un umilissimo vinello a bassissima gradazione. Cavatele fuori dall’ombra e, appena avrete cominciato ad avvitare il cavatappi nel sughero, vi troverete coinvolti in una specie di eruzione vulcanica.

La neve placa l’eruzione. La dolcezza si assopisce. L’alcol carezza appena la bocca, lenisce il freddo. Per un lungo attimo, estate e inverno si fondono nei sensi. Assaggi un pezzo di cielo e ti sembra d sognare.

Granita dei poveri, gelato dei poveri…
Niente di tutto questo. La neve nel bicchiere non ammette paragoni. Gli Arabi crearono gli antenati dei sorbetti, unendo i succhi d’agrumi a quella dell’Etna. Nel ferrarese (ancora quello…), si usava la Saba, cioè il mosto cotto, come nel film di Florestano Vancini. Oggi, si fanno le granite con le macchine elettriche, si polverizza il ghiaccio con il pacojet, si coprono le piste con la neve artificiale... 
Ma la neve prodotta da madre natura resta insuperata.

Non per sentimentalismo: è una pura questione di fisica e geometria.

Partiamo da una constatazione semplice, ma alla portata di tutti: la neve è leggera. Molto più leggera dell’acqua e del ghiaccio. Una brocca da un litro, riempita di neve appena caduta, pesa tra 200 e 400 grammi. La densità, ovviamente, non è sempre la stessa. Dipende dal tipo di neve. In Il senso di Smilla per la neve, si racconta che gli Inuit, che con questo materiale hanno una certa dimestichezza, utilizzano decine di parole diverse per descriverne i diversi stati. Anche sciatori ed alpinisti, nel loro piccolo, amano distinguere la neve farinosa da quella compatta, pesante, bagnata o marcia. In ogni caso, la neve è sempre meno densa del ghiaccio. Il motivo è semplice: contiene tantissima aria. In generale, un materiale granulare occupa più spazio di un materiale compatto, a causa degli interstizi presenti tra i grani. Questo succede alla neve, tra fiocco e fiocco, ma anche alla granita. La forza della neve è un'altra: anche il singolo fiocco è un vero colabrodo!

Alla fine dell’Ottocento, con la nascita della fotografia microscopica, l’umanità venne a conoscenza della forma dettagliata dei fiocchi di neve.  Wilson Bentley, irrefrenabile fotografo del Vermont, soprannominato Snowfalke Bentley, arrivò ad immortalarne più di 5000. Erano tutti diversi fra di loro, ma avevano in comune la caratteristica forma ramificata, a simmetria esagonale, che, da allora in poi, è diventata il simbolo per eccellenza della neve, del freddo e dell’inverno (la troviamo perfino sul pulsante dell’aria condizionata…).

Oggi, le foto le facciamo con il microscopio elettronico, ma la sostanza rimane quella: la neve nasce piena di spazi vuoti, che vengono riempiti dall'aria  Questo la rende soffice, la fa danzare lentamente mentre cade, la promuove a fantastico isolante naturale, in grado di proteggere dal freddo eccessivo i campi, i boschi e i fiori del mio balcone. E dona, alla miscela di neve e vino, quella favolosa leggerezza che nessuna tecnica umana ha saputo eguagliare.

E’ tutto merito dei processi fisici che avvengono nell'alta atmosfera. Le minuscole goccioline d’acqua, del diametro di circa 10 micron, si trovano in stato sottoraffreddato, a parecchi gradi sottozero (fino a -40°!), e fluttuano nell'aria formando un aerosol. Basta un granello di pulviscolo, un microcristallo di ghiaccio, una perturbazione piccolissima, per innescare la solidificazione. Alla prima goccia ghiacciata, si attaccano le altre, ghiacciando a loro volta e dando inizio alle sei diramazioni simmetriche attorno al centro.

Il processo prosegue: altre goccioline diffondono e si attaccano. Per ovvi motivi, è più probabile che restino attaccate alla punta di un ramo che non a un’insenatura. Così si produce la caratteristica forma dendritica, ogni volta diversa, perché diverse sono le condizioni di temperatura, umidità e corrente.

Quando il fiocco è abbastanza pesante, inizia a cadere. Si posa a terra. Viene circondato dagli altri. Si forma la morbida coltre bianca. Che, però, è instabile quanto i fiocchi che l’hanno creata. Col passare del tempo, le punte dei cristalli si sciolgono e l’acqua va a riempire i buchi, righiacciando. Se non è sciolta, dopo qualche giorno la neve è più dura, almeno in superficie. Lo strato profondo, più isolato, resta soffice molto più a lungo.

Tutto questo, l’uomo non riesce a riprodurlo. La neve artificiale è fatta da palline, non da fiocchi. Ho perso il gusto dello sci, da quando i barbari moderni hanno iniziato a coprire i prati di pesantissimi tappeti bianchi, sparati di notte dai cannoni. Lì, la poca aria può stare solo negli interstizi fra le palline. Addio morbidezza…


Una bottiglia d’Aglianico aperta, sul tavolo, mi riporta al presente e mi suggerisce un esperimento. Apro la finestra e prendo un po’ di neve da vaso di rose. La copro di vino. Quando la neve è tutta sciolta, il livello del liquido è sceso e la superficie è cosparsa di bolle, impronta inconfondibile dell’aria liberata dai fiocchi. Assaggio: è proprio aria; se fosse anidride carbonica, sarebbe frizzante.

L’assaggio, poco edificante per il palato, mi fa desiderare intensamente di tornare alle origini. Voglio ricreare la mia madeleine invernale. Scendo in cantina e prendo una delle bottiglie che fa il mio amico Jimmy (non è americano: solo che Gianmaria è troppo lungo…). L’etichetta parla da sola: Nebbia e sabbia.

Risalgo. Esco sul balcone e scavo sotto la coltre più alta. Il bicchiere è pieno. Verso. Mescolo un po’ e, col cucchiaino, inizio a grattare.

Il tempo si è fermato. 
Fuori, la neve danza davanti al lampione appena acceso. 
Nel silenzio, la voce della maestra mi racconta, cantilenando, un’altra storia antica.

Neve bella, fatta a stella,
bianca neve, lieve lieve
vieni in mano,
piano piano:
sei per poco dolce gioco,
dolce gioco in mille fiocchi
che mi frullan
sotto gli occhi.





















Snowflake Bentley...

... e le sue foto













Fiocchi al microscopio elettronico



Un fiocco "invecchiato" che si sta compattando


Neve artificiale



















Bolle d'aria nel vino fermo, dopo lo scioglimento della neve







1 commento:

  1. WOW! Io che sono del vicino Veneto non ho mai sentito parlare di questa Fortanella...pero' neve e Fortanella, secondo me un bell'esempio di come un gusto "oggettivamente" non eccelso, possa diventare qualcosa di "paradisiaco" per coloro a cui rievoca bei ricordi del passato...il potere della mente!!!
    Inoltre bella la spiegazione sulla neve e sulle sue proprieta'...ma ricrearla in laboratorio ed utilizzarla al posto delle palline di neve artificiale? E' impossibile?

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