lunedì 18 febbraio 2019

Ricominciamo


La casa sulla Rambla, come nove anni fa. Le bandiere nelle strade, però, sono cambiate e i miei amici portano un nastro giallo sul petto. Gaspar e Fernando non ci sono più. Ma sono arrivati Axel e Marta. Nella Boqueria sono spuntati i succhi vitaminici e il cibo bio. Sui marciapiedi sfrecciano i monopattini elettrici. 

La mattina Pere mi aspetta in macchina in Plaça de Catalunya e andiamo insieme al campus di Torribera. Due settimane di lezioni e un libro da finire: dobbiamo farlo per Fernando, che era il terzo autore. Sfioriamo la Sagrada Familia e la Monumental, poi la torre Agbar. Dentro le mura colorate, grazie al cielo e al Parlament, i tori non muoiono più.

Quando scende il buio e i negozi chiudono, in Carrer de la Porta Ferrissa sbocciano gli spacciatori. Nell'appartamento al numero 7, dove il Taller guidava la rivoluzione, ora ci vive Ferran. Raimundo ha lasciato la gastronomia e fa il primario a tempo pieno; per continuare a vivere doveva smettere di mangiare. Quico si è rialzato e ha ricostruito una fabbrica più grande. E poi un'altra più grande ancora, in un vecchio stabilimento tessile, non lontano da Alicia. Ora vuole metterci anche una scuola di cucina, con la sua foresteria. I cuochi continuano ad andare pazzi per la doppia pentola a pressione coreana. Nei ristoranti buoni, l'avanguardia si è trasformata in tradizione. La molecolare adesso è patrimonio comune. Non serve più a far spettacolo, ma per creare piatti sempre più buoni. E tutto questo, per noi, è una cosa meravigliosa.

Il primo decennio del duemila fu un periodo fantastico, irripetibile. Anni di passione, di innovazione intensa e continua. Forse troppo concentrata - diciamo con Pere – ma è così per tutte le rivoluzioni. Non hai il tempo per fermarti a pensare, un impulso irrefrenabile ti spinge all'azione. Ed ora le nuove generazioni si ritrovano una mole incredibile di materiale, da capire, digerire, imparare e reinterpretare. Già, ma chi glielo insegna? Il nostro fu un movimento di autodidatti. Sia i cuochi che gli scienziati non avevano avuto maestri che li guidassero in quei terreni sconosciuti. Ma anche ora non esistono insegnamenti ufficiali. L’accademia è lenta e recalcitrante di fronte a qualunque forma di cambiamento. Il tempo passa. Bisogna darsi da fare, prima che sia troppo tardi…

Una decina d’anni fa tutto si era fermato. Prima la fine di Lo mejor de la gastronomia. Poi la tavola rotonda di Madrid Fusion. La crisi economica. E, dulcis in fundo, la chiusura del Bulli. Era evidente che un’epoca si stava chiudendo. Ma era pure chiaro a tutti che una pausa era necessaria. C’era troppo materiale da elaborare, troppe cose da capire, lasciate indietro per la fretta di andare avanti. Le nuove parole d’ordine diventavano ordinare e classificare. Ferran, che è un pioniere, inizia con Bullipedia. E’ lì che arriva Marta, che è una linguista computazionale. Si lancia con entusiasmo nel nuovo, come avevamo fatto noi anni prima. -Andavamo dove c’era la passione – mi ricorda Pere con nostalgia – e la passione allora non era più nei laboratori accademici, tristi e soffocati dall'inferno burocratico. La passione era nelle cucine dei grandi.

Non scorderò mai quel settembre del 2004 a Murcia, dove ci siamo conosciuti. Il battesimo ufficiale della cucina molecolare. Per andare avevo lasciato perdere, senza rimpianti, uno dei soliti mesti congressi accademici, dove ero invitato a parlare. Vuoi mettere inaugurare la scuola “¿Qué puede enseñar la ciencia a la cocina?” con una lezione su tutto quello che mi stava entusiasmando? Passai l’estate a studiare lo spagnolo. Appena sceso dall'aereo capii che non avrei potuto fare una scelta più giusta. Tutto intorno era elettrizzante. Il tassista mi parlava di innovazione in cucina come da noi si parlava di calcio.  E lì conobbi i grandi amici che avrebbero accompagnato gli anni ruggenti. Pere, Ingrid, Andoni, Dani, Raimundo, Mariana, Fernando…
Fernando. Fernando che non c’è più. All'improvviso, un anno fa. Con quel nostro libro ancora in sospeso. Fernando l’inventore della sferificazione inversa. Quasi nessuno sa che anche quella partì proprio lì, in quei fantastici giorni di Murcia.

Quel libro che era diventato il nostro sogno e la nostra ossessione. Iniziato dieci anni fa, quando anche noi, come tutti, eravamo presi dall'impulso di ordinare e classificare. Raccontare la scienza che aveva guidato la rivoluzione della cucina creativa. Non il solito libro che ti dà la spiegazione di ciò che accade. Un libro che ti insegna come inventare ciò che ancora non esiste. Quante volte abbiamo scritto e riscritto appunti, indici, capitoli. Ma le cose che avevamo fatto in quegli anni, non riuscivamo mai a farle rientrare negli schemi della scienza e dei libri che conoscevamo. Eravamo quasi scoraggiati. Fernando però aveva capito il problema. Non ha senso – diceva – scrivere un libro che parla di idee che stanno già negli altri libri.  Ci è voluto tanto tempo per cogliere fino in fondo il significato di quelle parole. Poi, l’autunno scorso, la nebbia all'improvviso si dirada. Pere ed io ci guardiamo e tutto diventa chiaro. La gastronomia scientifica è semplicemente una disciplina nuova. Che non è in contrasto con le altre, ovviamente. Ma che ha fondamenti e concetti suoi propri, che non si possono ridurre a quelli delle discipline già esistenti. E, soprattutto, ha un fine ben definito: creare il “buono fa mangiare”. Il cammino comincia ad essere in discesa. Il titolo si completa: “Soft matter transformation in culinary processes. The scientific principles of gastronomic design”. E scrivere torna ad essere un piacere.

Sono di nuovo giorni di passione. Al pomeriggio si discute e si scrive. Al mattino si spiega agli studenti e si lima e raffina la presentazione. L’impostazione adesso è quella giusta. Ne siamo sicuri, perché ci ha portato con naturalezza a scoprire strutture nuove. Adesso è tutto chiaro, compresa la transizione di croccantezza nella frolla sperimentale.

La domenica, sul filo dei ricordi, ci allunghiamo a Roses. Cala Montjoi è irriconoscibile. Il Bulli non c’è più. Accanto ai suoi muri, ne costruiscono altri. Il nuovo centro di ricerca di Ferran dovrebbe aprire nel 2020. Non sarà più un ristorante. Il Bulli è storia. Quel che è stato è stato.
In paese, in riva al mare, il Rom è una sorpresa e si torna a sognare. L’alta cucina, quella che ti emoziona, torna a sorridere su quella costa fatale…

Si sente nell'aria uno spirito che sembrava perso nel passato. In quei giorni d’autunno era nata l’idea di riunire la vecchia guardia. È partita la chiamata. Tutti o quasi hanno risposto all'appello. Ferran, Joan, Max, Victor, Carles, Harold, Claudi, Hervé, Jorge, José, Puri…

Ai primi di marzo ci si rivede a Barcellona.

Ricominciamo. 


















1 commento:

  1. Bentornato sul suo blog, Prof! Le faccio i miei più sentiti auguri per questa nuova avventura...

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