lunedì 30 luglio 2012

Le scarpe di Pelé

Avevo un amico d’infanzia che sognava di diventare un grande calciatore. Però a giocare non era un granché, così pensò bene di farsi regalare le scarpe di Pelé. Non fu una grande idea, perché lui restò un brocco con le scarpe costose, mentre Pelé giocava divinamente anche a piedi nudi sull'asfalto.

Mi perdonerete questo flashback poco gastronomico, ma è un ricordo che mi torna spesso alla mente quando giro per cucine e laboratori (oggi, poi, vanno di moda i foodlab…). L’ultima volta è accaduto poche settimane fa, quando un cuoco mediocre mi mostrava con orgoglio un campionario d’attrezzature assolutamente spropositato per i suoi scopi: dagli ultimi ritrovati della tecnologia culinaria, ad alcuni strumenti scientifici che voleva usare a tutti i costi, senza capire bene a cosa servissero realmente. Mentre, fra me e me, sorridevo di tanta ingenuità, il pensiero andava al mio amico Fulvio Pierangelini, che ho visto cucinare piatti divini con una padella accanto al camino, o tra i modesti fornelli di casa mia.

La realtà è che Fulvio conosce alla perfezione quei complessi processi di cottura e le mille sfumature della fiamma d’un camino, mentre il cuoco mediocre cerca di sopperire con le macchine alla sua scarsa conoscenza. Il primo, anche se lo nega ostinatamente, è a suo modo uno scienziato; il secondo, che vorrebbe essere un cuoco scientifico, è tutt’al più un tecnologo mal riuscito, le cui conoscenze nascono e muoiono nel mondo ristretto dei suoi macchinari.

La scienza, infatti, è conoscenza approfondita dei fenomeni, delle cause che li producono, delle relazioni sottili che tra loro intercorrono. La tecnologia è l’applicazione di questa conoscenza a situazioni particolari, con finalità specifiche. Entrambe non sono in sé né buone né cattive, ma entrambe possono essere usate bene o male: possono produrre meraviglie o portare ad eccessi ridicoli. 

Entrambe si rendono ridicole, quando credono ciecamente in se stesse. La scienza lo fa ogni volta che, anziché riconoscere i suoi limiti, si crede in grado di spiegare il mondo intero; ogni volta che si crogiola nelle sue teorie perdendo di vista la realtà. 

La tecnologia si rende ridicola, quando si illude di risolvere con le macchine ogni problema, trascurando il ruolo cruciale dell’uomo che le usa. 

Questo discorso, ovviamente, va ben oltre il mondo della cucina. Le stesse considerazioni mi vengono in mente quando qualche collega mi mostra con orgoglio un’apparecchiatura scientifica costosissima e complessa, con cui sogna di fare grandi scoperte. In realtà, nella maggioranza dei casi, quell'apparecchiatura lo legherà per molto tempo ad un lavoro di routine, limitando la sua libertà e la sua fantasia, perché i macchinari, quanto più sono specifici e raffinati, tanto più vincolano il campo d‘azione di chi li usa. Molte scoperte scientifiche, per contro, sono state realizzate con apparecchiature di fortuna, arrangiate alla bell'e meglio da sperimentatori che avevano magari scarsi mezzi a disposizione, ma una grande ricchezza di idee e perfetta conoscenza di ciò che stavano facendo. 

La verità è che mentre è possibile fare scienza senza tecnologia, la tecnologia non può esistere senza scienza. La macchina, senza l’uomo che la conosce a fondo, la domina, la piega alla sua volontà, diventa una scatola stupida e vuota, come un computer senza software e senza programmatore. Quando, addirittura, non diventa pericolosa.

Qualche anno fa, un cuoco pseudo-scientifico, dopo aver assistito ad una mia dimostrazione sulla preparazione di gelati con l’azoto liquido, ebbe la geniale idea di organizzare una dimostrazione simile, utilizzando un turbo miscelatore a tenuta stagna, prodotto da una ditta a cui faceva consulenza. La mia dimostrazione sfruttava solo strumenti primordiali, una pentola e una frusta, per cui non c’era stata l’occasione di parlare del poderoso aumento di volume dell’azoto al passaggio dallo stato liquido allo stato gassoso. Ma, nel miscelatore a tenuta stagna, quella proprietà era tutt’altro che trascurabile. Tanto poco trascurabile che, dopo pochi secondi di funzionamento, la pressione interna arrivò a far saltare le valvole di sicurezza, riempiendo l’immensa sala con una pioggia di melma verdastra. La colpa non era ovviamente della macchina, ma dell’ignoranza del suo utilizzatore. 

Non penso che il gelato all'azoto si debba fare necessariamente a mano, anzi: proprio in quegli anni (prima della patetica polemica televisiva sulla cucina molecolare) avevo messo a punto un prototipo di apparecchiatura, di grande semplicità, in grado di produrre fino a cinque chili di gelato in tempi brevissimi. L’avevo fatto assecondando le richieste di alcuni gelatai sperimentatori che lamentavano l’impossibilità di realizzare a mano quantità consistenti di gelato. In questo senso, la macchina ha una ragione d’essere e una funzione insostituibile: un po’ come il cric idraulico che permette ad una sola persona di sollevare un’automobile. Ma, soprattutto, è una macchina proporzionata al suo scopo: nessun dettaglio è inessenziale o superfluo.

La scienza, da sempre, insegna a seguire la strada più semplice ed elegante per arrivare ad un risultato, a non utilizzare mezzi eccessivi per fini limitati. E’ un insegnamento che si potrebbe estendere con profitto anche alle tecniche di cucina: quante volte siamo tentati di utilizzare metodologie estremamente complesse per arrivare a prodotti che si potrebbero ottenere con mezzi più modesti! Mi ricordo ancora di quanto tempo mi ci volle per convincere uno chef con cui collaboravo a non chiedermi di procurargli un laser per sciogliere un po’ di cioccolato…

Una divulgazione seria e capillare della scienza e del suo metodo sarebbe la vera soluzione, l’unico modo possibile di riequilibrare il rapporto tra la tecnologia ed i suoi fruitori. La strada, però, non è facile, perché le macchine si comprano, ma la scienza non si trova in vendita. Le macchine sono disponibili rapidamente, mentre la conoscenza richiede tempo, pazienza e dedizione: doti, che, non a caso, sono fondamentali anche in cucina, ma poco popolari nell'immaginario contemporaneo.

L’illusione di arrivare a grandi traguardi senza fatica, di procurarsi la bacchetta magica che risolve ogni problema, è insieme il maggior pericolo della mentalità tecnologica e il peggior nemico dell’arte. Ma, se la cucina è un’arte (e ne sono convinto), saranno i risultati stessi a far giustizia di tutto ciò che ad essa non giova. Saranno gli stessi cuochi a capire quando le macchine sono davvero funzionali al “buono da mangiare”. E, forse, vedremo in giro meno scarpe di Pelé e più ragazzini che si divertono a giocare in strada a piedi nudi.

 


Pelé. Non sono le scarpe che fanno il campione...

3 commenti:

  1. bel post. più che condivisibile.

    però... il laser per sciogliere il cioccolato no, ma il micro-onde, quant'è comodo! e si evita anche il rischio che, con il bagno-maria, ci cada qualche goccia d'acqua, che potrebbe compromettere il temperaggio.

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  2. Il microonde è fantastico: il cioccolato si tempera a meraviglia e senza fatica (per non parlare delle ganaches). E se qualcuno pensa che un vero pasticcere non lo usi, vi dirò che la tecnica me l'ha insegnata nel 1995 Pierre Hermé...

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  3. si si è verissimo, anche io lo uso per temperare, e per fare le ganache. ma a me l'ha insegnata il mio maestro di cioccolato, e mi inchino a hermé...

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