Il mio primo sospetto di una
percezione distorta della scienza nel mondo gastronomico risale a una decina d’anni
fa.
Giravo per le gelaterie a spiegare come si usa l’azoto liquido e mi capitò
un gestore che i colleghi definivano uno “scienziato”. Faceva un pessimo gelato, che appiccicava in
bocca perché era pieno di guar, ma era orgogliosissimo di un foglio di calcolo
di Excel, che aveva messo a punto per il bilanciamento delle miscele. Dato che
era anche piuttosto presuntuoso gli dissi senza mezzi termini che quelle erano
cose da ragionieri, non da scienziati, e che il suo foglio di calcolo poteva
pure buttalo nel cestino, perché, con l’azoto liquido, le regole di bilanciamento
non servono a niente (se volete un giorno vi spiego perché).
Ma il fascino perverso dei numeri
inutili era nell'aria.
Pochi mesi dopo, un’amica
giornalista mi telefona tutta eccitata, dicendomi che un mio collega le aveva
rivelato la temperatura esatta di temperaggio del cioccolato.
-Ah, sì? Quale cioccolato?- le
chiedo.
-Quello fondente!
-A che percentuale di cacao,
zucchero, burro di cacao?
-Quella tipica!
-Ah, e quale sarebbe questa
temperatura?
Al che mi spara un numero con due
cifre decimali, cioè una precisione al centesimo di grado. Poi mi chiede perché
ero scoppiato a ridere e non parlavo più.
Le suggerisco di non pubblicare
certe storie e di riportare al mio “collega” questo messaggio: “Il temperaggio
del cioccolato non è una transizione di fase di equilibrio, ma un passaggio
rapido tra due regimi di temperature in cui coesistono diversi stati
metastabili. Quindi parlare di una temperatura esatta di temperaggio non ha
senso, per definizione”. Il presunto collega, come scoprii più tardi, era un
nutrizionista, e quindi non capì un accidente di quel messaggio. L’ignara
giornalista pubblicò. Pare qualche pasticcere geniale, leggendo l’articolo, si sia
messo in cerca dei termometri al centesimo di grado.
Ma, nell'immaginario collettivo,
c’è qualcosa che caratterizza lo scienziato ancora meglio del numero. Qualcosa
che, nella scala dei valori metafisici, lo supera e lo sublima.
La formula, ovviamente.
Anni fa mi trovai a prender parte
a una richiesta di finanziamento per un megaprogetto di ricerca. Di quelli che
coinvolgono tante sedi e tante discipline diverse e che sono coordinati da enti
o società specializzati in questo genere d’affari. Avevo scritto e spedito il
mio dignitoso contributo, spiegando il mio compito scientifico in termini
rigorosi, ma nel modo più chiaro e semplice possibile. Mi telefona una
burocrate strapagata, che stava a capo dell’ente coordinatore, e mi dice con
tono stizzito che la mia relazione appariva superficiale. Le chiedo se l’aveva letta
bene e se c’era qualcosa in particolare che riteneva banale. Quella ci gira
attorno, perché probabilmente non si era posta il problema del contenuto, e poi
mi dice che in una relazione scientifica seria ci devono essere più formule.
–Va
bene –le dico - provvederemo.
Prendo la relazione e, di proposito, l’infarcisco
di formulacce pompose, che c’entrano poco o nulla con quello che scrivo. Ma
spiccano agli occhi, perché mi premuro di decorarle con tensori a tre indici e
integrali di cammino su circuiti chiusi, che esteticamente sono ineccepibili.
La signora mi ritelefona il giorno dopo complimentandosi.
–Professore, la sua relazione adesso è
meravigliosa!”.
Questo è il livello di
competenza con cui vengono giudicati i progetti scientifici.
Al fascino delle formule,
purtroppo, non sono immuni nemmeno giornalisti scientifici e divulgatori.
- - Professore, ma non mi può scrivere una bella
formula da mettere in una box a parte con lo sfondo colorato? Sa, non troppo
lunga, se no supero il numero di battute, ma abbastanza complessa per far
capire che c’è sotto molta scienza…
Certo, moltissima scienza. Come
nella famigerata formula per il tempo di cottura delle uova, che un certo dott.
Williams dell’università dell’ Essex pubblicò nel 1998 sul New Scientist. Per
chi non lo sapesse, il New Scientist non è esattamente una grande rivista
scientifica, ma un simpatico magazine divulgativo. Williams riempie due pagine
di conti fitti per risolvere un’equazione di diffusione del calore alla portata
di un qualunque studente del terz’anno di fisica. Poi ottiene la formula
finale. Che è quel giusto equilibrio fra semplicità e complicazione che fa la
gioia del giornalista scientifico, e quindi ha successo sulle riviste
divulgative. La cita perfino Peter Barham nel suo libro The science of cooking. Peccato che, con la cottura di un uovo
vero, quella formula abbia ben poco a che fare e, alla prova dell’esperimento,
i risultati siano disastrosi. Per
capirlo, basterebbe leggere l’incipit dell’articolo di Williams: “Consider a
spherical homogeneous egg of specific heat capacity c, density ρ, thermal conductivity κ and radius a
(all constants).”
Per carità, è vero che Galileo ci
ha insegnato che il libro della natura “è scritto in lingua matematica”. Ma una
lingua bisogna anche saperla usare. Altrimenti
si fa la figura di quel giovane cuoco che, poco tempo fa, mi sciorinava i nomi
di tutte le proteine contenute in un fagiolo. –E che te ne fai di tutti quei
nomi? – gli chiedo. – Mi servono per capire come è fatto il fagiolo-. – Ma sai
che differenza c’è tra quelle proteine? Sai a che temperatura coagulano e quali
sono emulsionanti?- Ovviamente non lo sapeva. –Vedi –gli dico – è come se tu
avessi imparato a memoria le parole di
un vocabolario senza preoccuparti di capirne il significato. Una persona che
conosce un centesimo delle parole che sai tu, ma che le sa usare, può scrivere
un romanzo. Tu puoi solo scrivere un elenco.-
Anche nella “lingua matematica”
si possono seguire stili diversi. Il migliore, come sempre, è il più conciso. C’è
chi impiega due pagine per dire quello che, uno scrittore più capace, comunica
in tre righe. Abbiamo generazioni di
laureati e dottorandi che riempiono di formule fitte e illeggibili decine di
slides di PowerPoint annoiando a morte i poveri spettatori. Da parte mia, ho
subito fin dal liceo il fascino di un libro meraviglioso, che si intitola “L’evoluzione
della fisica”. Il libro racconta tutta la fisica, dalle origini alla relatività
e alla teoria dei quanti, senza usare formule. Gli autori, nella prefazione, ci
informano che gli scienziati veri, quando parlano fra loro, usano concetti, più
che formule. Gli autori si chiamano Albert Einstein e Leopold Infeld.
Purtroppo,
nonostante la fama, in pochi li seguono.
Qualche anno fa, pure un mio
collega è caduto nella trappola di Williams. Si è dilettato a ricavare la
formula per il tempo di cottura degli spaghetti. Ovviamente la formula ottenuta
non ha nulla a che fare con gli spaghetti veri che bollono nella pentola.
Funziona bene per un tondino di ferro infinito immerso in un pentola infinita,
piena d’acqua a cento gradi che, invece di bollire, sta ferma immobile. E poi,
invece di descrivere una cottura, descrive un riscaldamento, che è tutt'altra cosa (se i miei 22 lettori sono interessati, possiamo tornare sull'argomento).
Ma il fascino delle funzioni di Bessel è un’irresistibile sirena ammaliatrice…
Io le funzioni di Bessel le uso
dall’84.
Ma, per vedere se gli spaghetti sono cotti, non ho l’abitudine di risolvere
equazioni differenziali.
Assaggio.
La scienza serve a capire un po' meglio il
mondo e a semplificarci la vita.
Quando è incomprensibile e
complicata, la scienza è stupida.
Grazie Davide, per come sei realista e razionale.
RispondiEliminaarticolo da incorniciare. punto e basta (e senza formule)
RispondiEliminaNivadi
RispondiEliminaKarl Kraus (credo)diceva: ci sono scrittori che dicono in tre pagine cose per le quali mi ci vogliono addirittura 3 righe.
Il fascino delle formule hanno anche le parole complicate. Ci sono ignoranti che le usano per far credere che loro conoscono le cose e spesso in questo modo affascinano molta gente.
Io sono rimasto stupito più di una volta leggendo libri di premi Nobel, avevano il dono della semplicità e della concisione. Talvolta da arrivare a dire: ma perché non ci ho pensato anch'io?
ho letto il tuo scritto mentre ascoltavo Morricone... la ricchezza della semplicità.
RispondiEliminasi si, no no, tutto il resto è superfluo.
grazie per cio che condividi
buonasera Professore, mi chiamo pino e faccio il cuoco, ho scoperto il suo blog da pochi giorni, e stavo leggendo i vecchi post, quindi spero che mi scuserà se vado fuori tema, le volevo rivolgere una domanda inerente al brodo, ne parla brevemente nel post gli esperimenti imprevisti del 6 giugno, mi ha fatto ritornare in mente una cosa che ho letto in un testo di Hervé This, lui sostiene che che non vi è differenza tra la partenza in acqua gelida o in acqua bollente, riferendo anche di degustazioni alla cieca, questo mi lascia un po perplesso, io lavoro per una multinazionale della ristorazione, e il mio posto di lavoro in una mensa non mi consente di avere il tempo e le materie prime adeguate per poter testare personalmente, e onestamente quando sono a casa la voglia di cucinare mi è un po passata. sarei molto contento se potesse scrivere due righe al riguardo. grazie e scusi
RispondiEliminail disturbo.
Caro Pino, la sua perplessità è sacrosanta.
RispondiEliminaQuell'affermazione è assolutamente falsa.
Abbiamo sperimentato decine di volte, in laboratorio, nelle cucine di casa e dei ristoranti, ad ALMA...
La differenza c'è e come!
Purtroppo, molti improvvisatori copiano e incollano i testi altrui senza preoccuparsi di verificarne la validità, così le notizie fasulle si diffondono rapidamente.
Il vero scienziato deve inchinarsi all'evidenza sperimentale.
Come dicevano gli scolastici: "Contra factum non valet argumentum" [Contro i fatti non valgono le argomentazioni].
RispondiEliminaNivadi
mi sembra strano che un professionista serio come Hervé This faccia un'informazione fasulla. L'avevo letto anch'io.
Non c'è qualcosa che sfugge da una parte o dall'altra?
O devo buttare i libri di quest'autore?
Mi limito a suggerire a tutti di fare l'esperimento e trarne le proprie conclusioni.
RispondiEliminaD'altra parte, chi crede a quell'affermazione deve buttare via due secoli di libri di cucina, insieme all'esperienza quotidiana di tanti grandi cuochi che ne sono gli autori?
Nivadi
RispondiEliminamettiamola così
non credo che Hervé sia uno sprovveduto, come pure gli altri.
Come può essere arrivato alla sua affermazione? Non saranno condizioni sperimentali diverse? O modi diversi di fare la sperimentazione?
Faccio un lavoro di laboratorio da decenni e mi occupo anche di DoE, casi simili sono citati spesso come risultato di modi diversi di fare gli esperimenti. Non si tratta di errori o malafede, ma di condizioni sperimentali diverse.
Mi interessa capire e se l'affermazione di Hervé è vera come il suo opposto, si potrebbe nascondere qualcosa di interessante.
Tutto è possibile, ma non esiste un articolo scientifico in cui viene esposto il risultato anomalo. Per quel che ne so, si trova solo su un libro divulgativo che, ovviamente, non dà dettagli sperimentali adeguati per una verifica seria.
RispondiEliminaDi norma, nell'ambiente scientifico, chi trova un risultato in contrasto con quanto noto fino ad allora, si deve assumere l'onere della prova e spiegare il motivo della diversità dei risultati precedenti. Non ci si può limitare a dire "è folklore", perché, chi ha pratica di cucina, sa benissimo, per esperienza diretta, che le due procedure danno risultati diversi.
Naturalmente in tanti abbiamo provato a ripetere l'esperimento, confermando la cosiddetta tradizione. A questo punto, di prassi, si lascia perdere. Come è accaduto, altre volte, in altri settori.
A metà degli anni '80 furono pubblicate diverse scoperte che sulla carta apparivano eclatanti: la fusione fredda, la quinta forza, l'acqua con la memoria, la superconduttività ad alta temperatura.
Come tutti ben sanno, solo l'ultima ha superato la prova del tempo...
RispondiEliminaNivadi
OK, la mia era curiosità, in effetti faccio il brodo col vecchio sistema
la fusione fredda, con altri nomi, è tuttora oggetto di studi seri in tutto il mondo.
la memoria dell'acqua va contro la termodinamica
Sulla serietà degli studi sulla fusione fredda si potrebbe discutere a lungo...
RispondiEliminaComunque continueremo a fare degli ottimi brodi con il metodo tradizionale, magari affinandolo e migliorandolo, perché sono il primo a sostenere che la tradizione è in continua evoluzione!
grazie per la risposta Professor Cassi, è stato esauriente.
RispondiEliminapino