Nell’estate di diciannove anni fa,
mi ritrovavo a scorrazzare tra il Bosforo e la Cappadocia con il mio amico e
collega Igor. Viaggiavamo a bordo di un’auto bianca, noleggiata in nero in un’equivoca
bottega nella zona di Topkapı, in compagnia di un mare di cianfrusaglie e
ricordini, e di un dizionarietto di turco, che si rivelò vitale quando si ruppe
il motore in Anatolia Centrale.
Tra gli acquisti che ci
accompagnarono nel viaggio, c’era un ibrik,
bricchetto di rame dal manico lungo, che
ancora conservo con cura. Serviva (e serve) a preparare il kahve, quello che noi chiamiamo
caffè turco. Ci eravamo prima assuefatti e poi innamorati di quella bevanda.
Trovare un espresso era pura utopia. C’erano solo due possibilità: il kahve o il neskahve. Il secondo, come si può intuire, era il caffè
liofilizzato, e lo bevevano solo gli stranieri. Noi, dopo giorni e giorni di
scuola e collegio insieme agli studenti locali, non ci sentivamo più stranieri,
e avevamo anche imparato a prepararlo, il kahve.
La polvere che si usa è macinata finissima, impalpabile. Si mette nel bricco,
insieme all’acqua e allo zucchero, e si porta a ebollizione, sul fuoco, una
prima volta. Al primo bollore, si allontana dalla fiamma (il manico lungo è
essenziale) e lo si lascia placare. Si ripete l’operazione altre due volte, poi
si versa nella tazzina. Non si filtra, ma si aspetta che la polvere decanti sul
fondo. A quel punto si può bere, avendo l’accortezza di non ingurgitare il
deposito, ovvero il kahve telvesi, il fondo di caffè.
All’inizio, lo lasciavamo nella
tazza senza curarcene. Poi, in una magica serata esotica, seduti all’aperto a un
bar di Ortaköy, una ragazza di Istanbul ci insegnò a leggere i fondi di caffè.
La caffeomanzia, antica arte
divinatoria che la fanciulla aveva imparato dalla nonna, comporta innanzitutto
la creazione di strane figure marroni sulle pareti interne della tazza. Chi
vuole conoscere il suo futuro inizia appoggiando sulla tazza il piattino
rovesciato. Si concentra e, tenendolo stretto tra le dita, fa ruotare il tutto tre
volte. Poi, quando si sente pronto, lo ribalta. Aspetta che il kahve telvesi sia completamente sceso
(lo verifica tastando la base della tazza, che deve risultare fredda), rovescia di nuovo la sola tazzina, e la
contempla. Sulle pareti, il fondo, colando, ha disegnato forme curiose, ogni
volta diverse, che vanno lette e interpretate.
Passammo le nostre serate ottomane
divertendoci a indovinare il futuro. Non avevamo ancora trent’anni, né una
famiglia, né un posto fisso… Ma l’aspetto più affascinante del gioco, per noi,
era il processo di formazione di quelle figure strane. Poco meno di due anni prima, De Gennes aveva
vinto il Nobel rivelando al mondo i segreti della materia soffice. Il kahve telvesi era materia soffice. Una
sospensione densa, per l’esattezza. E una sospensione densa è un caso
particolare di fluido non newtoniano.
Cosa c’entri Isaac Newton con i
fondi di caffè può non essere ovvio a tutti. Tra le varie leggi che portano il
suo nome, ce n’è una che riguarda i fluidi. Questa legge stabilisce la
proporzionalità diretta tra lo sforzo applicato e lo scorrimento. Per questo
motivo, i fluidi che la seguono si chiamano newtoniani. L’acqua e l’olio, per
intenderci, sono esempi quotidiani di fluidi newtoniani. I fondi di caffè, no.
Considerato che, se mi state leggendo in italiano, è abbastanza improbabile che
abbiate sottomano una polvere di caffè turco, per capire il meccanismo vi
propongo di sostituirla con un qualunque amido alimentare (fecola di patate, amido
di mais, di frumento, di riso, …).
Gli amidi condividono con la
polvere di kahve le due proprietà fondamentali
che ci interessano: la finezza e l’insolubilità in acqua. Una polvere
insolubile, dispersa in un liquido, da origine ad una sospensione. Parliamo di
sospensione densa quando la distanza media tra i granelli è più piccola della loro
dimensione. In queste condizioni, il movimento di un granello all’interno del
liquido è fortemente ostacolato dalla presenza degli altri: in poche parole,
non ha spazio a sufficienza per passare e va a sbattere. Di conseguenza, la sospensione
incontra una forte resistenza allo scorrimento.
Volete verificarlo di persona?
Mettete qualche cucchiaio di amido in un bicchiere d’acqua, lasciatelo
decantare sul fondo, e versate via l’acqua in eccesso. Il fondo che resta ha una consistenza cremosa
e poco fluida, che ricorda una salsa.
Fin qui, niente di strano. Provate ora a mescolare la pseudosalsa con un
cucchiaino. Se lo girate lentamente, tutto ok. Se siete troppo veloci, però, vi
trascinate l’intero bicchiere. Non siete soddisfatti? Fate in modo di riempire
di pseudosalsa l’intero bicchiere ed immergetevi fino in fondo il cucchiaino.
Se lo estraete lentamente, quello esce. Se lo tirate troppo velocemente, si
solleva il bicchiere. Prendete infine la pseudosalsa tra le mani ed iniziate ad
impastare. Sembra proprio una pasta. Ma, appena vi fermate, si squaglia e cola
via. Bene, a questo punto avete sperimentato a sufficienza per capire che la
sospensione densa, a differenza dei fluidi newtoniani, più la forzate e meno
scorre. Un fluido non newtoniano, con questa specifica proprietà, viene
chiamato dilatante. Ne esistono anche con comportamento esattamente opposto: si
chiamano pseudoplastici, e l’esempio più tipico è il ketchup. Ma i fondi di
caffè sono dilatanti, così come la tahina,
gustosa sospensione, in olio, di polvere di sesamo tostato…
Non è difficile capire il
comportamento dei fluidi dilatanti. Se lo sforzo applicato non è eccessivo,
granelli e liquido scorrono insieme. Ma
quando si fa troppo intenso, l’acqua viene come spremuta via, e i granelli, lasciati
all’asciutto, si compattano e formano un ammasso duro e resistente.
Ora potete capire anche cosa
succede quando la nostra sospensione inizia a scendere sui bordi della tazza.
Innanzitutto, le rotazioni e il capovolgimento hanno prodotto delle
disuniformità importanti nel fondo di caffè. La sospensione in alcuni punti è
salita di più, in altri di meno. Poi, ovviamente, lo scorrimento è iniziato
prima sul lato interno del movimento di capovolgimento. Tutto ciò fa sì che il fondo cominci a
scendere in modo decisamente disomogeneo: in alcuni punti è più rapido, in
altri non scorre proprio. Ma la differenza di velocità provoca anche differenza
di densità della polvere in acqua e, dove la densità è più alta, possono
avvenire dei compattamenti simili a quelli che abbiamo visto con gli amidi.
Quando l’acqua non è sufficiente, la polvere si blocca e rimane attaccata alla
parete. L’acqua liberata da un compattamento, a sua volta, scendendo, può
andare a sbloccarne un altro. Alla fine, quando quasi tutta l’acqua è sul
piattino insieme alla polvere scesa, la polvere residua, sulle pareti, forma
figure varie, complesse e imprevedibili: il risultato di un moto caotico.
Se non vi accontentate della
descrizione, potete sperimentare di persona. Dovete semplicemente procurarvi
una polvere di caffè finissima e una tazzina trasparente o un bicchierino. Se
il caffè manca, potete provare a simularlo con un amido. Il risultato non è lo
stesso, perché questi moti caotici sono molto sensibili ai dettagli, ma
imparerete sempre qualcosa.
Se poi
volete vedere cosa succede quando riempiamo di acqua e amido di mais una vasca
da bagno, guardate semplicemente qui: è una trasmissione
televisiva dell’anno scorso, in cui ci siamo divertiti un mondo. I retroscena
della registrazione, poi, sono ancora più divertenti. Ma di questi, forse,
parleremo un’altra volta…
P.S. Se mi volete spedire le foto
dei vostri esperimenti con i fondi di caffè o altri fluidi dilatanti, possiamo
provare a farne uno studio sistematico!
![]() |

Salve Professore.
RispondiEliminaseguo i suoi esperimenti ormai da un po', sono appassionato di cucina e mi sto cimentando con la sferificazione.
tempo fa ho acquistato in farmacia l'alginato di sodio e il cloruro di calcio, il farmacista mi ha detto che l'alginato era "in scadenza" entro un paio di mesi.
allora volevo sapere se è per il fatto che l'alginato è scaduto che non riesco ad ottenere dei risultati.
chiedo scusa se ho scritto un "fuori tema", però ho colto l'occasione.
grazie mille e complimenti per tutte le sue geniali ricette!!
Matteo, Verona.
Caro Matteo,
RispondiEliminaè assolutamente possibile, perché è successo anche a me...
Qualche mese fa, tenevo una serie di lezioni serali per genitori e studenti di una scuola della mia città, e ci procurava gli ingredienti un amico farmacista. Quando servì l'alginato, purtroppo ne restava solo una piccola quantità di una partita scaduta. Feci qualche prova, ma i risultati erano pessimi. Del resto, l'alginato normalmente è bianco, mentre quello risultava marroncino.
Detto questo, è anche possibile che la causa sia un'altra. Per esempio, se il liquido in cui va sciolto l'alginato è troppo acido, la sferificazione non riesce.
Per ovviare all'inconveniente, il mio amico Pere Castells ebbe l'idea di aggiungere citrato di sodio per ottenere una soluzione tampone. L'esperimento riuscì, e Ferran l'assunse su due piedi.
Ma se mi mettessi a raccontare tutti questi aneddoti, ci vorrebbe un libro intero...
Grazie dell'apprezzamento e a presto!
i fluidi non newtoniani li ho scoperti grazie ad un mio alunno di un istituto professionale, che non studiava niente ed era mariuolissimo, ma anche molto curioso.
RispondiEliminapoi lo bocciammo :-(
ed è la prima volta che trovo una spiegazione chiara del fenomeno.
ora mi torna tutto.
Ma cosa combinava lo studente mariuolo con i fluidi non newtoniani??
RispondiEliminaSalve professore.
RispondiEliminaavrei un'altra domanda, sa dove posso reperire un contenitore per azoto liquido? anche usato, da 10lt.
grazie mille e buona giornata.
Su ebay, ovviamente... Basta cercare "liquid nitrogen dewar" o "liquid nitrogen container". Esistono comunque anche diversi importatori italiani, che si possono trovare facilmente con una ricerca in rete. Dico importatori perché, che io sappia, in Italia non abbiamo produttori.
RispondiElimina