Quand’ero bambino, passavo le estati in Tirolo.
In una graziosa casetta che non esiste
più, demolita e ricostruita più grande e moderna. In un villaggio che non è più
lo stesso, devastato dal turismo invernale di massa. Ai piedi di una montagna
alta e verde, che ora è irriconoscibile, violentata e umiliata dagli
sventramenti di piste e impianti di risalita.
Sul
far della sera, uscivo dalla casetta con il pentolino da un litro ed entravo
nella stalla del vicino per prendere il latte.
-Heute
brauchen wir ein Liter Milch!- era la frase magica. Il contadino mi sorrideva,
si avvicinava al secchio e riempiva il pentolino. Oppure, se non l’aveva ancora
fatto, mungeva una mucca e mi offriva la primizia della serata.
Il
profumo che emanava da quel secchio mi è tornato prepotentemente alla mente
l’altro giorno, mentre Serena, una delle mie studentesse, presentava una bella
relazione sul latte dal punto di vista della fisica della materia soffice.
Serena
si era preparata, come è normale, su libri di tecnologia degli alimenti, che
hanno una visione del cibo piuttosto diversa da quella della gastronomia.
Così,
quando parlando dell'omogeneinizzazione del latte, nell'elenco dei vantaggi che
comporterebbe, ha citato la “maggiore palatabilità”, mi sono sentito ribollire il
sangue nelle vene.
In
primis perché detesto il termine1.
E poi, perché preferisco di gran lunga il
latte non omogeneizzato e non pastorizzato.
In altre parole, il latte vero.
Sì,
perché, lasciando perdere i gusti personali (dei quali “non est disputandum”),
il punto cruciale è che tra il latte che esce dalla mucca ed il latte
omogeneizzato, dal punto di vista fisico, la differenza è enorme.
Il
processo di omogeneizzazione ha poco più di cent’anni. Il suo inventore, il
francese Auguste Gaulin, lo presentò all’esposizione universale di Parigi nel
1900. Consiste nel forzare il latte, attraverso alte pressioni, a scorrere in
tubi molto sottili, con l’effetto di rompere i globuli di grasso in parti
finissime, che si disperdono uniformemente.
Il risultato che ne consegue, che è poi l’unico vero scopo per cui il
processo fu inventato, è che l’emulsione di grasso in acqua si stabilizza e la
panna non affiora più spontaneamente.
Quel che succede è che i microglobuli prodotti vengono circondati da
proteine e quindi appesantiti. Le proteine inoltre contribuiscono a tenerli
legati all’acqua. L’energia di legame è proporzionale alla superficie, e tanti
globuli piccoli hanno una superficie molto maggiore di pochi globuli grandi.
Alla fine, il maggior peso e la maggior superficie riescono a vincere la spinta
d’Archimede, che porterebbe il grasso, più leggero dell’acqua, a galleggiare.
Il
prezzo da pagare per tutto questo, però, è altissimo. Il latte omogeneizzato è
una specie di latte tritato finemente. Sta ala latte vero come un hamburger sta
a una bistecca. E se ci guardiamo bene dal chiamare mela un omogeneizzato di
mela, allora non dovremmo chiamare latte il latte omogeneizzato. Purtroppo
circola una strana convinzione, in base alla quale, se un prodotto mantiene la
stessa composizione chimica dopo la lavorazione, allora è da considerarsi lo
stesso prodotto. Se così fosse, invece di gustarci una maionese, potremmo
tranquillamente bere un bicchiere d’olio con un tuorlo, sale e aceto…
Il
latte vero, in bocca è un’altra cosa. Ma è un’altra cosa pure nella pentola e
sul fuoco.
Frau
Marianne alla sera metteva un cucchiaio di succo di limone nel pentolino appena
intiepidito. La mattina dopo ne estraeva un bel formaggino fresco e corposo,
che usava per preparare la sua fantastica Topfentorte. Provate a mettere il
limone nel latte omogeneizzato. Ne esce una cagliata debole debole e polverosa.
Se lo mettete nell’UHT, non esce proprio niente.
Quando
lo facevi bollire, quel latte, iniziavano i giochi pirotecnici… Prima si
formava la pelle in superficie. Poi all’improvviso si metteva a salire e
traboccava dal bricco. Dovevi essere veloce a spegnere il fuoco. Oppure dovevi
munirti di quegli appositi dischi di vetro, che si posavano sulla superficie e
riuscivano a tenerlo a bada più a lungo.
Quella
bella pelle, spessa e corposa, il latte omogeneizzato, non la fa2.
Le proteine che la formano sono troppo impegnate a circondare i microglobuli di
grasso per poter coagulare abbondantemente in superficie. Eppure quella pelle è
buona. Nel Giappone antico la si disponeva a strati, come in una millefoglie, e
lasciandola indurire si otteneva il So, con cui poi si produceva un
pregiatissimo formaggio, il Daigo. La cucina popolare francese abbonda di gâteaux à la peau de lait. Ma, anche
oggi, i grandi maghi dei fornelli non la disdegnano. Vi dicono qualcosa i ravioli
de piel de leche di Ferran Adrià, la
tortilla de piel de leche di Paco Roncero, la pelle di latte con
aglio caramellato di René Redzepi?
La differenza esiste. Scientificamente. La
scelta è questione di gusti. E qui mi fermo. Ma a chi, come me, adora il latte
crudo, non omogeneizzato e non pastorizzato, regalo la ricetta del gelato estemporaneo
di latte vero, che misi a punto nel 2004 e che, in questi giorni di caldo
africano, è particolarmente piacevole.
Anzi, ve ne do due versioni.
Gelato
estemporaneo di latte vero
Ingredienti
Versione
“leggera”
1 l di latte fresco crudo, non omogeneizzato
e non pastorizzato
1/2 l di panna fresca d’affioramento non
pastorizzata
200 g di zucchero
1 pizzico di sale
Versione
“gourmet”
1 l di latte come sopra
7 dl di panna come sopra
250 g di zucchero
1 pizzico di sale
Preparazione (per entrambe le versioni)
Sciogliere completamente, a freddo, lo
zucchero nel latte
Aggiungere il sale e farlo sciogliere
Unire la panna, a freddo, mescolando fino ad
ottenere una miscela omogenea
Versare l’azoto liquido e mescolare con la
frusta fino ad ottenere la consistenza desiderata.
Buon appetito!
La pelle del latte vero |
Tentativo di pellicina su latte omogeneizzato |
Assenza di pellicina su un altro tipo di latte omogeneizzato |
Ferran Adrià: Ravioli di pelle di latte e gelatina di basilico con zuppa di formaggio Idiazabal
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Note
1E'
tremendamente cacofonico. Un barbarismo derivato dall'inglese palatability,
che non si trova sui migliori dizionari della nostra lingua, e si può rendere
benissimo con gradevolezza. Se
guardate l'Oxford Dictionary, alla voce palatability troverete: “adjective
(of food or drink): pleasant to taste. Ex.
a very palatable local red wine”. E se proprio vogliamo
andare sul tecnico, potremmo dire “consistenza piacevole”, che è meglio di
tanti giri di parole. Tra l'altro, mi è capitato sotto mano
una sorta di dizionarietto di degustazione, che cita senza remore la parola palatabilità
come fosse perfettamente italiana e poi, alla voce testura, parla di un
neologismo derivato dall'inglese texture. E qui siamo alla pura follia, perché texture,
come l'analogo termine francese e lo spagnolo textura, derivano, ovviamente,
dal latino. Così come l'italianissimo testura! Come recita il vocabolario
Treccani: testura s.
f. [dal lat. textura, der. di texĕre «tessere», part. pass. Textus].
2Nel migliore dei casi, ne forma
una blanda imitazione, sottilissima e
fragile.
Domanda da profano: il trattamento col freddo dell'azoto liquido può avere l'effetto di distruggere eventuali agenti patogeni, così come fa, col caldo, la pastorizzazione?
RispondiEliminaAlcuni, ma non tutti... Certi microorganismi si conservano benissimo nell'azoto liquido!
RispondiEliminail latte che si acquista in città (purtroppo) lo si trova o pastorizzato o pastorizzato/omogenizzato, quale dei due è meglio acquistare? grazie
RispondiEliminaBuonasera, bellissimo post :-) Ho un dubbio che non so come togliermi: compriamo un latte tedesco biodinamico in bottiglia di vetro non omogeneizzato, ma ovviamente pastorizzato. Sulla superficie si forma un tappo di panna alto un paio di centimetri in inverno, un po' meno in estate. Non capisco come mai pur essendo pastorizzato questo latte si comporta come un latte crudo, vale a dire forma la pellicina grossa come nelle foto qui sopra e se lasciato all'esterno si separa in siero e parte solida. Forse tu sapresti spiegarmene il perché?
RispondiEliminaDue piccioni con una fava! Rispondo non solo all'ultimo commento, ma anche al penultimo, che è un po' vecchiotto, ma mi era sfuggito...
RispondiEliminaIl nemico giurato della pellicina è l'omogeneizzazione, non la pastorizzazione.
Negli anni '70, era ancora molto comune il latte in tetrapack pastorizzato ma non omogeneizzato. Aveva un comportamento simile a quello del latte crudo: faceva la pellicina e ci voleva il disco di vetro per non farlo traboccare.
Quindi, se volete un latte più vicino al latte vero, quello non omogeneizzato è decisamente meglio.
Interessante anzi molto interessante. Sono un goloso del “latte vero” ma non sopporto più (come moltissimi) fisicamente il latte intero tanto meno appena munto. L’omogeneizzato e il pastorizzato sono un adeguamento di necessità, anche commerciale se vogliamo, ma necessaria. Certo si sa che un gelato, un cappuccino, un frullato, una barbagliata o qualsiasi altra preparazione a base latte intero abbia un sapore molto differente, ma nel mio bar se non facevo cappucci (anche) con latte scremato avrei chiuso subito.
RispondiEliminaInteressante anzi molto interessante. Sono un goloso del “latte vero” ma non sopporto più (come moltissimi) fisicamente il latte intero tanto meno appena munto. L’omogeneizzato e il pastorizzato sono un adeguamento di necessità, anche commerciale se vogliamo, ma necessaria. Certo si sa che un gelato, un cappuccino, un frullato, una barbagliata o qualsiasi altra preparazione a base latte intero abbia un sapore molto differente, ma nel mio bar se non facevo cappucci (anche) con latte scremato avrei chiuso subito.
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