Ho ceduto alla
tentazione.
A pochi giorni
dalla sua uscita nelle sale italiane, mi sono visto Chef di Daniel Cohen. Che
poi, nell'originale francese, sarebbe "Comme un chef" ma, chissà
perché, in Italia abbiamo il vizio di cambiare i titoli.
Il film era stato
un po' troppo pubblicizzato, per i miei gusti. Ma, considerando che Jean Reno è
tra i miei attori preferiti e che, per una sorta di deformazione professionale,
non mi perdo un film di cucina, va da sé che prima o poi dovevo vederlo.
Ora, non sono qui
a improvvisarmi critico cinematografico. Se mi trovo a scrivere è perché, a
metà pellicola, ho avuto un sussulto alla prima comparsa dell'espressione
"cucina molecolare".
Era l'autunno di
dieci anni fa, quando io ed Ettore ci siamo trovati tra le mani quelle due
parole, che messe insieme suonavano così strane, ed abbiamo deciso di adottarle
come marchio per un'esperienza nuova e provocatoria. Poi si sa com'è andata. E'
arrivato il famigerato progetto INICON ed i media si sono dilettati ad
identificare la cucina molecolare con l'utilizzo malvagio e perverso degli
additivi industriali.
Però, fa sempre
uno strano effetto ritrovare sulle labbra di attori famosi le parole
che tenemmo a battesimo in tempi lontani e non
sospetti.
Per il resto,
purtroppo, il film segue stereotipi da rivista da sala d'aspetto.
Effetti speciali,
spaghetti blu, cubetti di concentrato d'anatra che per errore sanno di pesce. E
poi, l'azoto liquido, ovviamente. Messo su una flûte di champagne, per produrre
la solita spettacolare condensa. Ma chi lo serve veramente l'azoto liquido
sullo champagne? Anni fa, in un bar specializzato di Torino, avevo messo a
punto l'assenzio all'azoto liquido. Ma lo spirito era molto diverso. Non si
trattava di puro spettacolo: i fumi umidi che salivano dal bicchiere portavano
alle narici l’aroma d'assenzio. Si inspirava voluttuosamente quel fumo
profumato, per rivivere in chiave moderna il mondo decadente dei bevitori della
Fata Verde.
Lì, nell'improbabile
clima asettico di un ristorante pseudo avveniristico, il gioco dei fumi
dell'azoto era a metà strada fra il kitsch e il demenziale. Meno male che i grandi ristoranti
sperimentali sono diversi! Probabilmente, lo scenografo il Bulli non l’hai mai
visto, nemmeno in foto. Per non parlare della macchietta dell’esperto spagnolo
di cucina molecolare. Che non assomiglia lontanamente a nessuno degli “esperti”
che ci sono in giro, spagnoli o no. E che continua a commettere errori
impossibili e viene presto allontanato. L’unica suggestione viene dal “cuoco
molecolare”, che sembra un morphing tra Gordon Ramsay ed Heston Blumenthal.
Il messaggio,
comunque, all’inizio sembra chiaro: tutte porcherie industriali, per favorire i
biechi interessi commerciali.
Poi, la durezza pare
sfumare, per arrivare ad un finale a tarallucci e vino, tra buoni sentimenti e
pace fatta tra tradizione e innovazione.
Che dire? Jean
Reno resta un grande. Grandissimo. Almeno dieci spanne sopra i protagonisti
caricaturali di certe analoghe serie tv nostrane.
Il film,
grazioso, probabilmente non lo riguarderò.
In compenso, per
rifarmi il palato, il giorno dopo mi sono visto per la decima volta “L’aile ou
la cuisse”, con Louis De Funès e Coluche. Tutt’un’altra storia!
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Chi vuole
approfondire (e conosce l’inglese) può scaricare gratuitamente, dal sito della
rivista EMBO Reports, l’articolo che ho pubblicato lo scorso anno sulla storia
della cucina molecolare.
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Jean Reno nei panni di Alexandre Lagarde |
Michaël Youn, alias Jacky Bonnot, insieme all' "esperto spagnolo di cucina molecolare" |
1976. Louis De Funès e Coluche in "L'aile ou la cuisse" ("L'ala o la coscia?") |